Ho provato a scrivere un'altra versione del primo capitolo ^^
Enjoy it!
All humans will, without exception, eventually die.
( Death Note, T.Ohba)
La cassa era di legno scuro, probabilmente ebano. Dopo essere stata violata, era stata spinta giù dal tavolo. In quel momento giaceva spezzata sul pavimento di marmo lucido, avendo lasciato il posto al suo vecchio occupante.
Laura evitava di concentrarsi su di lui per più di due secondi di seguito. Non centrava niente l’odore, che pure non era dei migliori.
« Puoi iniziare» le comunicò gentilmente Klaus, il suo insegnante, in piedi dall’altro lato del tavolo. In mezzo, a separarli, il corpo di un giovane senza vita. L’espressione del viso rigido era impassibile, le labbra appena socchiuse. I capelli neri erano secchi e opachi.
Laura ancora non riusciva a credere che stava per fare una cosa del genere. Sotto gli occhi severi di Klaus intinse la lama del pugnale nella bacinella di cristallo posta accanto a lei, e la lasciò lì, quindi sbottonò la camicia sbrindellata che il cadavere steso sul tavolo indossava ancora. Le mani le tremarono appena. Infine mise a nudo il torace dell’uomo. Con un coraggio che non avrebbe mai creduto di avere, lo girò in modo da sfilargli l’indumento dalle braccia tese lungo i fianchi.
Ad ogni contatto dei polpastrelli con l’epidermide gelida sobbalzava.
« Klaus» disse a voce bassa, come per non turbare la pace del morto.
Klaus infilò un dito nella bacinella e lo ritrasse bagnato. Trattenne una smorfia vedendo la crosticina formatasi sul polpastrello. Lo appoggiò sulla fronte del cadavere e tracciò una croce perfetta. Diede una pennellata d’acqua alle labbra socchiuse e si ritrasse di nuovo per osservare le mosse della giovane.
Laura annuì, più per reazione nervosa che per altro. Afferrò il pugnale bagnato e lo poggiò appena sopra lo sterno. Con delicatezza, senza staccare mai la lama dal corpo, tracciò a sua volta una croce, molto più grande di quella di Klaus.
Esausta, si accasciò su una sedia.
« Sei stata più accurata del solito, Laura. Sicura che non ci sia niente tra te e questo qui?»
“ Non chiamarlo semplicemente ‘questo qui’, stupido!” pensò ferocemente Laura, però sorrise e negò.
Un’occhiata fuori dalla finestra le disse che era quasi l’alba. Non aveva senso andarsene proprio in quel momento.
Incurvò appena le labbra, mentre immaginava la felicità di rivedere il sole dopo giorni, settimane, mesi. La sua felicità, invece, era lì, tangibile, vicina a farla esplodere.
Sentì Klaus spostare senza sforzo il tavolo in un angolo e avvicinarsi a lei, ma non si voltò. Aveva tanto sonno che quasi stava per cadere dalla sedia.
« Forse è meglio che tu vada a dormire» le disse l’uomo. Laura si alzò e si allontanò in silenzio. Era così premuroso e intelligente. Era gentile solo con lei, come fosse stata una valvola di sfogo contro tutto il mondo. Ed era anche bello, a suo dire. Per lei avrebbe potuto essere l’uomo perfetto.
Scosse la testa. Stava mentendo spudoratamente a se stessa con quelle parole. La verità era che Klaus, per quanto fosse incline a considerarlo quanto di più vicino ad un amico avesse, non era nient’altro che uno strumento, il migliore, per la sua situazione.
E lei, Laura, in quel momento si sentiva una fottuta bastarda.
Restò a letto per praticamente tutto il giorno. Come al solito, dopo un lavoro del genere, né lei né Klaus avevano voglia di pranzare. Teneva in mano la sveglia digitale, che osservò fino allo sfinimento senza mai sbattere le palpebre, anche se allo scoccare delle otto di mattina la sua mente si discostò dai suoi sensi per frugare nei ricordi.
Le parve di sentire l’odore ributtante del sangue misto a quello del carburante che si spandeva sull’asfalto torrido in un pomeriggio d’agosto. Il calore inumano del sole sul viso, mentre strisciava come un verme. Le sembrò di essere ancora lì, a dispetto del tempo passato. Sentì i sassolini sul terreno pungerle la guancia quando aveva smesso di trascinarsi, troppo stanca per continuare.
L’orologio batté le undici con altrettanti lugubri rintocchi.
« Va tutto bene, ci sono qua io» mormorava Laura, tamponando la fronte al ragazzo, i cui occhi saettavano da un lato all’altro della stanza. Il lenzuolo che aveva usato Laura per coprirlo era fradicio, e aveva qualcosa di molto simile alla febbre.
Dal canto suo, Laura aveva i capelli raccolti in una coda frettolosa e due pesanti occhiaie, e sentiva l’acqua congelarle il braccio, ogni volta che immergeva il fazzoletto ripiegato nella bacinella.
« Sta’ fermo, per favore» continuò, risultando più sicura di quanto in realtà non fosse. Approfittò di un momento di calma per riaccendere la candela. Una luce giallognola illuminò l’aria immediatamente lì attorno.
Quasi per riflesso nervoso, il ragazzo si mise seduto e prese Laura per la gola, attirandola verso di sé. La ragazza tossì e si divincolò inutilmente.
« Mi stai strangolando» mugolò. Il cuore le batteva tanto forte da risultare insopportabile. Non era giusto; lei non poteva morire. Non allora, almeno.
« Ti prego, lasciami» sussurrò con un filo di voce, stringendo a sua volta i polsi dell’aggressore.
« Cosa mi hai fatto?» sbottò l’altro, e aumentò la stretta.
Laura sentiva di essere vicinissima a piangere, o addirittura morire.
«
Kurt.» riuscì a malapena a bisbigliare. Immediatamente sentì le mani lasciarle il collo e inspirò a fondo. Era ancora, incredibilmente viva.
“Se solo mi fossi ricordata prima della cosa più importante di tutte… il suo nome” pensò. Alzò gli occhi e incontrò lo sguardo perplesso di Kurt.
« Laura?» domandò. Lei riuscì solo ad annuire.
« Che cosa mi hai fatto?» si guardò le mani. «
Che cosa mi hai fatto?»